Gran parte delle testimonianze che ci sono pervenute e riguardanti l’Olocausto hanno come soggetto del racconto persone colpite dalle leggi razziali, sequestrate con l’inganno dalle proprie case per essere deportate nei campi di concentramento.
“Lasciami andare, madre” è il primo libro che leggo scritto dalla famigliare di una guardiana SS che ha lavorato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Una lettura che sconvolge e lascia contraddetti, ma assolutamente da fare per comprendere quanto il regime avesse indottrinato i suoi soldati.
Dettagli del libro
Titolo: Lasciami andare, madre
Autrice: Helga Schneider
Casa editrice: Adelphi edizioni
Anno: 2004
Pagine: 132 pp.
Genere: testimonianza, biografia
Formato: cartaceo ed ebook
ISBN: 9788845918438
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Sinossi
In una stanza d’albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1943 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere quella che considerava la sua missione: essere a tempo pieno una SS e lavorare nei campi di concentramento del Führer.
Incipit
Vienna, martedì 6 ottobre 1998. In albergo
Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli. Stanotte non ho chiuso occhio. Ora è quasi giorno; ho aperto la serranda. Un fumoso velo di luce si va schiarendo sopra i tetti di Vienna.
Oggi ti rivedo, madre, ma con quali sentimenti? Che cosa può provare una figlia per una madre che ha rifiutato di fare la madre per entrare a far parte della scellerata organizzazione di Heinrich Himmler?
Rispetto? Solo per la tua veneranda età – ma per nient’altro. E poi?
Difficile dire: nulla. Dopotutto sei mia madre. Ma impossibile dire: amore. Non posso amarti, madre.
Mi sento agitata, e mio malgrado ripenso al nostro ultimo incontro, nel 1971, allorchè ti rividi dopo trent’anni, e rabbrividisco al ricordo dello sgomento che provai scoprendo che eri stata un membro delle SS.
E non eri pentita, anzi. Ancora ti compiacevi del tuo passato, del tuo essere stata, di quell’efficiente fabbrica di orrori, una impiegata modello.
Recensione
Può una madre abbandonare in un appartamento da soli, nel pieno di una guerra in corso, la propria figlia di 4 anni e il suo bambino di 19 mesi per partire e arruolarsi come guardiana dell’SS? Ebbene sì, una donna lo ha fatto. Si tratta della madre di Helga e Peter Schneider.
Bugiarda, opportunista, fanatica, infida: così la descrive il suo dossier.
Una facciata austera di rigore, fierezza, moderazione e temperanza celava abissi di sregolatezza, fanatismo, presunzione – e una sconfinata sete di potere.
L’autrice è rimasta traumatizzata da quell’abbandondono, di cui non ha mai parlato con il padre che dopo un anno si risposò. La nuova “mamma” si affezionò subito al piccolo ma trattò Helga come fanno le matrigne delle favole: la rinchiuse in una casa di correzione per bambini difficili.
Divenuta lei stessa madre sentì il bisogno di capire perché la sua vera mamma se ne fosse andata, la cercò e rimase delusa dal primo incontro avuto dopo anni. Nessun segno di rimorso per quanto fatto ai figli o al marito, solo il rammarico di non avere più il suo lavoro.
Mio padre è morto da tanto tempo ormai,ma lei lo ha annunciato come se fosse successo ieri. Lei si stende sul volto una parvenza di afflizione, ma poi a poco a poco nei suoi occhi si addensa una nube di arrogante malumore. “È meglio che sia morto!” esclama, cinica, astiosa. “Era cattivo. Sì, era cattivo!” si infervora. “Non faceva che mettermi i bastoni tra le ruote. Non voleva che mi occuparsi di politica, ogni raduno era una tragedia. Non voleva che facessi carriera in politica, capisci? Pretendeva che restassi a casa a pulire e cucinare e occuparmi dei bambini.”
“Non ti sembra giusto occuparti dei tuoi figli?” domando sconcertata.
“Anche le mie camerate avevano dei figli, ma i loro mariti non erano gretti e gelosi come il mio. Non potevo sopportarlo. Non potevo sopportare tutta quella gelosia e tutta quella ottusità. Lui non voleva capire che avevo dei compiti, dei compiti precisi.”
È il 1998 quando l’autrice riceve una lettera che la prega di cercare un riavvicinamento prima che diventi impossibile, data l’età avanzata.
Helga va a Vienna, in una casa di cura per anziani e pur turbata dalla visita fa a ogni modo domande per conoscere la verità. Riceverà risposte impressionanti, a dir poco sconvolgenti.
Tutto il personale SS aveva ricevuto una preparazione da “lavaggio del cervello”, non era consentito il benché minimo senso di pietà verso i reclusi nei campi, una desensibilizzazione estrema alle atrocità, e il potere concesso finì per offuscare qualsiasi cosa, persino i doveri famigliari.
Lei non era stata che una delle migliaia e migliaia di donne che si erano lasciate abbagliare dalla propaganda ideologica dei nazisti. Certo, non tutte si erano spinte sino a entrare a far parte dell’ordine di Himmler.
Non credo sarei riuscita a perdonare ma in cuor suo la Schneider lo ha fatto: ha però sottolineato in diverse interviste che lo fa solo in quanto figlia. Non spetta a lei assolvere la madre per il dolore arrecato alle donne e ai bambini perseguitati durante la guerra.
Solo un dubbio le è rimasto.
Verso di lei provo un rancore tenace, ma temo di non avere ancora rinunciato a trovare in lei qualcosa che si salva. Di qui il dubbio: è stata davvero spietata come dice o si mostra irriducibile perché io la possa odiare, liberandomi dell’incubo?
Se cercate come me di ascoltare tutte le versioni di un fatto prima di averne una visione più chiara, allora vi consiglio di non perdervi questo scritto, seppur crudo e doloroso.
La lettura di questo libro si è rivelata un elemento opportuno alla comprensione, mi ha aperto gli occhi sul come tutto è stato possibile, perché tanta cattiveria e brutalità verso il popolo ebraico e le minoranze ritenute non degne di vivere.
Se ne esce esterrefatti perché non sembra umano consentire di bruciare vivi dei bambini solo perché lo ha stabilito il regime, soprattutto sapendo che chi da gli ordini ha lei stessa una famiglia.
“Tu non sai niente. Niente!” e sottolinea quella affermazione con un gesto perentorio e spazientito delle mani. “E io non avevo alcun diritto di provare compassione, il mio dovere era solo quello di obbedire. Fedeltà e obbedienza, nient’altro. La fedeltà è un grande valore, sappilo”.
Voi cosa ne pensate? Conoscete altri libri che presentino l’olocausto visto con gli occhi di chi ne è stato il carnefice? Vi leggo con piacere nei commenti
Biografia dell’autrice
Helga Schneider è nata in Polonia e ha vissuto in Germania e in Austria. Dal 1963 risiede in Italia. Oltre a “Lasciami andare, madre“, ha pubblicato “Porta di Brandeburgo” (Rizzoli, 1997), “Il rogo di Berlino” (Adelphi, 1998), “Il piccolo Adolf non aveva le ciglia” (Rizzoli, 1998), “Stelle di cannella” (Salani, 2002) e “L’usignolo dei Linke (Adelphi, 2004).
Mi ricordo il commento che ho lasciato nel tuo articolo precedente, in cui dicevo che non avrei più letto volentieri libri sulla guerra. Invece, leggendo la trama di questa storia e la tua recensione, dopo anni ho trovato un libro di questo genere che mi ispira.
Di questi tempi cosí pesanti, non ce la faccio a leggere di queste cose, mi dispiace
Queste storie colpiscono dritto al cuore, e pensare che ce ne sono tantissime come questa! Bellissimo libro!
Non conoscevo questo testo, ho la pelle d’oca. Da leggere assolutamente
Sicuramente da leggere. Grazie mille.
Grazie al tuo post ho scoperto un altro libro a tema che voglio leggere. Me lo segno